Meccanismi liberatori

(‘Soigner son âme’ – p. 351 - 370)

Questo titolo è per lo meno paradossale, poiché dal punto di vista assoluto non c’è mecanismo per la liberazione. Questa è gratuita e senza causa. Tuttavia, in pratica, si possono distinguere certi mecanismi di liberazione psicologica. Ne passeremo in rivista dodici, l’ultimo essendo il meccanismo senza meccanismo, e cioè l’impossibilità di ridurre la meditazione a dei meccanismi, che si tratti della risposta di rilassamento o di altri processi più psicologici. Questa parte è, in un certo modo, la cerniera del libro : se è vero che si può ‘curare la propria anima’ con la meditazione, come ciò può avvenire ?

La visione psicologica classica del meccanismo di difesa, ispirata dalla patologia è, a parer mio, insoddisfacente poiché pessimistica. Se tutto quel che può fare il soggetto è di difendersi ripetitivamente contro gli attachi di un inconscio o di un ‘quello’ inesauribile, ciò significa che finirà quasi inevitabilmente con l’essere vinto. La psicologia spirituale è piuttosto fondata sullo studio dei meccanismi liberatori visto che, in fondo, sono loro che sono realmente importanti per l’evoluzione interiore. Ecco i dodici principali meccanismi di azione della meditazione in termini compatibili con la psicologia moderna.

1) Il metodo delle dissociazioni libere : nella psicanalisi, si seguono le associazioni a poco a poco, progressivamente. Nella meditazione, si segue un filo direttore e ci si dissocia man mano di quel che risale liberamente. Il processo di associazione-dissociazione (associazione durante la terapia ad un ricordo traumatico dato, poi dissociazione con il rilassamento e la messa a distanza) è alla base di gran parte delle terapie. Il comportamentalismo parlerà di ‘disensibilizzazione’, l’ipnosi ericksoniana di ‘evaluazione del sintomo’, la psicanalisi dell’ ‘andare nel senso della resistenza’, eccetera. Questo tipo di metodo è anche chiaramente suggerito nella Bhagavad Gita dove si gioca con la parola Yoga : « Lo Yoga (parola che significa anche ‘unione’) è la disunione (viyoga) dell’unione (yoga di nuovo) alla sofferenza. »

La meditazione rappresenta una dissociazione conoscitiva, in cui si sviluppa la capacità del ‘Sé che osserva’ (vedere il libro con lo stesso titolo del terapeuta traspersonale Arthur Deikman). Secondo l’espressione di Jean-Pierre Schnetzler, la meditazione permette la liberazione di micro-scariche emozionali, che corrispondono schematicamente a ciò che chiamano in India i samskara. Nella psicanalisi junghiana, il processo terapeutico si riassume in poche parole : lasciar avvenire, considerare, confrontarsi.

Ci si può legittimamente chiedere se un metodo basato sulla disidentificazione non può portare ad una spersonalizzazione. Nello studio di un caso di questo tipo, Castillo ha mostrato che molto più importante della spersonalizzazione stessa era il contesto nel quale avveniva, e l’interpretazione che se ne faceva. Per la meditazione, una certa spersonalizzazione è riconosciuta come positiva : è il risveglio del Sé che osserva ; è non solo compatibile con la vita comune, ma la migliora, evitando di venir identificata col ‘cinema’ emozionale abituale. Invece, uno psichiatra non informato aggiungerà la propria ansietà a quella del paziente e prescriverà degli ansiolitici : si entrerà allora in un circolo vizioso poiché gli ansiolitici hanno anche loro un effetto piuttosto spersonalizzante.

2) Una dipendenza che libera : la meditazione, quando si risveglia fa toccare col dito la gioia pura. Questa esperienza crea un attaccamento che libera naturalmente dagli altri attacamenti, dalle altre assuefazioni, droghe o altre dipendenze. Si tratta di molto di più di una restaurazione narcisistica o di una regressione. E’ un’esperienza nuova che il soggetto non ha mai avuto prima, almeno non così intensa. I tentativi di spiegare la cosa con la regressione sono criticabili nel senso che loro stessi sono regressivi. Dopotutto, perché non si potrebbe fare qualcosa di nuovo, di totalmente nuovo ? L’estasi guarisce. La gratificazione di queste esperienze interiori molto positive è più frequente nelle terapie a meditazione corporale che nelle terapie verbali. Nel capitolo ‘Sostanze’ abbiamo mostrato il legame  stretto tra meditazione, pratiche corporali e secrezione di endorfine. In termini comportamentalisti, c’è un condizionamento operante con ricompensa quando il mentale si calma, e c’è una sofferenza, quindi punizione, quando si agita. Frankl, creatore della logoterapia, spiega che una vera terapia deve prendere in conto la frustrazione esistenziale ; ciò corrisponde ad un’ azione centrale della meditazione.

3) Pensiero positivo : si tratta del pane quotidiano dell’evoluzione interiore : « Ogni giorno è un buon giorno » si dice nello Zen. Questo pensiero positivo permette di uscire dal cerchio della ripetizione delle esperienze negative : tutti ne possono avere, ma la meditazione aiuta a non ripeterle.

Delmonte ha mostrato che i meditanti avevano una ipersuggestionabilità – preferirei dire ipersensibilità. Questo stato favorisce le capacità di evoluzione più rapida con una risposta migliore a l’autosuggestione o con un ambiente positivo, quello che gli indù chiamano il satsang. Può, invece, rendere più sensibile a un ambiente negativo, ragione per la quale il meditante deve sapersi proteggere. Inoltre, lo studio di Delmonte presenta il vantaggio di ravvicinare più facilmente le ricerche sulla meditazione a quelle su l’auto-ipnosi, poiché i due corrispondono ad uno stato di ipersensibilità in cui si può avere un’azione interessante su certe zone profonde della psiche. Lo stato di rilassamento muscolare conferisce probabilmente una più grande facilità di apprendimento, diminuendo il ‘parassitaggio’ della base del mentale generato da una specie di stato febbrile muscolare. E’ stato dimostrato in modo chiaro, almeno nell’animale.

4) La privazione sensoriale : i meditanti hanno preferito isolarsi nel silenzio e ridurre i loro contatti con l’esterno. Numerose esperienze hanno mostrato che l’isolamento sensoriale favoriva la creazione d’immagini  mentali. John Lilly ha pure fatto dell’isolamento in piscina una base di metodo terapeutico. C’è un legame fisiologico tra l’interruzione dei contatti sensoriali con l’esterno e l’abbondanza delle immagini mentali. E’ il caso del sogno : durante la fase del sonno paradossale, il sognatore è talmente assorto in ciò che vede che è molto più difficile svegliarlo, qualunque stimolo si usi. Tuttavia, è interessante notare che la creazione d’immagini mentali è più favoreggiata da uno stimolo ripetitivo che da un’assenza totale di stimoli che porta, invece, ad uno stato di torpore.

Se i soggetti non sono atti a controllare il loro mentale, l’isolamento sensoriale può condurre a delle allucinazioni, come nel caso di quella donna volontaria per una serie di esperienze sul sonno in una grotta. Uscendo, delirava e ha finito col suicidarsi un anno dopo. Nelle prigioni, la pena la più dura è quella dell’isolamento. Ciò non toglie che tutte le esperienze di solitudine non sono negative. Persone che hanno fatto lunghe traversate in solitario, esploratori polari anche, parlano di esperienze spirituali che hanno cambiato la loro vita.

Si riferiscono casi di depressivi ricoverati in modo cronico, il cui stato era notevolmente migliorato dopo due a sei giorni d’isolamento totale. Forse avevano bisogno, in fin dei conti, dell’esperienza di solitudine per ritrovare sé stessi.  Allo stesso modo, certi schizofrenici allucinavano meno quando erano isolati, forse perché erano meno sottomessi al ‘doppio legame’, a ciò che vivevano come la menzogna di quelli che li circondavano. Ho incontrato un giovane che era stato diagnosticato schizoide. Pensava di essere stato salvato dalla schizofrenia grazie ad una terapia in cui l’analista non aveva detto assolutamente niente. Mi ha spiegato: « Era il solo posto dove potevo dire quello che provavo senza che tentassero  di manipolarmi. » Forse la meditazione e il fatto di parlare ad un muro nudo avrebbero avuto lo stesso effetto…per molto meno caro. E’ possible che l’isolamento conduca ad uno choc che disorganizza i meccanismi di difesa, permettendo così una migliore riorganizzazione ulteriore. D’altra parte, gli isterici cha hanno sete di relazioni (anaclitismo) non traggono beneficio dall’isolamento. I soggetti che hanno troppo tendenza a ricercare le sensazioni (ipocondriaci, eccetera.) sembrano trarre meno profitto dalla meditazione di quelli che avrebbero tendenza ad evitarle (volontaristi).

La privazione sensoriale della meditazione ristabilisce l’equilibrio con la vita normale, spesse volte segnata dal sovraccarico di stimoli, legata all’aumento di adrenalina e conducendo, quando è forte e prolungata alla morte degli animali in condizioni sperimentali. Allo stesso modo, il sovraccarico relazionale (mettere gli animali da laboratorio in uno spazio confinato) porta ad una morte precoce.

Il sovraccarico sensoriale agisce come una droga: uno si abitua a dei tassi elevati di adrenalina e altri neurotrasmettitori stimolanti, e quando questi si abassano,  si ritrova in stato di svezzamento, di carenza. Il bambino che non vuole andare a dormire perché ci sono ospiti a cena, ne è un buon esempio : si agita sempre di più fino al momento in cui crolla, sfinito.

5) La disidentificazione e il superamento dei meccanismi di difesa dell’ego : la meditazione, che abbiamo definita come il ritorno a sé, sembra essere un trattamento di scelta del meccanismo di proiezione e di ‘transfert’. Il ritorno regolare al vissuto del corpo, alla sensazione, lotterà contro la tendenza all’annullamento degli stati affettivi elementari, alla razionalizzazione. Facendo chiaramente distinguere, differenziare, ciò che viene dal sé da ciò che viene dall’esterno, la meditazione permetterà al soggetto di non venir influenzato a sua insaputa, dalle immagini parentali per esempio, secondo il meccanismo d’introiezione.

Una persona abituata a meditare sull’organizzazione del mentale in dvandvas (coppie di opposti) sarà meno intrappolata dalla rimozione; proverà un’emozione anormalmente forte, esaminerà l’emozione contraria per vedere se questa non si era intensificata prima. Grazie a quel esame, svilupperà una ‘profondità’ di visione – si potrebbe dire, per riprendere il linguaggio dello Yoga – che aprirà il terzo occhio, quello che vede il cielo dell’unità al di sopra dei fianchi di montagne che sono le coppie di opposti.

L’immobilità è un metodo particolarmente efficace per far fronte alle sue resistenze che si manifestano di solito con un desiderio di fuga, dunque, dal punto di vista corporeo, con un inizio di movimento. La menzogna su sé stesso non è censita tra i meccanismi di difesa. Forse perché è presente in tutti, in modo proteiforme. Quand’è maggiore, gli si dà il nome di ‘paralogismo’, fenomeno frequente negli individui paranoici. La storia del bambino che vede doppio è un buon esempio di paralogismo. Un giorno, un bambino dice a suo padre : « Ci sono due lune nel cielo. » Quando suo padre cerca di fargli capire che vede doppio, il ragazzo furioso risponde : « Se vedessi doppio, non ci sarebbero due lune nel cielo ma quattro… »  Una fonte di paralogismo può anche essere un attaccamento o un desiderio troppo forti. Se l’oggetto di quel desiderio è una sostanza intossicante, la deviazione del funzionamento razionale diventa talmente flagrante che si parla di ‘narcologismo’. Ho avuto un paziente alcoolizzato cronico. Un giorno mi disse : « Dottore, sono d’accordo per fare tutte le terapie che vorrà…però sopratutto non mi chieda di smettere di bere ! » La natura del desiderio è proprio di accecare. Non credo nella possibilità del ‘desiderio cosciente’ che non è altro che un accecamento al secondo grado. Come ha detto Bernard Shaw : « Posso resistere a tutto tranne che alla tentazione… »

Questo fenomeno di paralogismo, o più genericamente dei meccanismi di difesa dell’ego, deve spingere il meditante all’umiltà e alla prudenza. Se non può beneficiare dell’aiuto di un maestro spirituale o di un terapeuta realmente competente, deve saper ascoltare gli amici spirituali o anche, semplicemente, ciò che gli dice il suo ‘entourage’. La vita quotidiana è la pietra di paragone dell’autenticità della meditazione, più delle esperienze interiori fantastiche se non addirittura fantasmagoriche.

6) Retroazione positiva : si tratta di una retroazione che amplifica la differenza, invece di minimizzarla come nella retroazione comune. Questo processo di reazioni a catena è dannoso perché mette in pericolo l’insieme, come nel caso di esplosioni o di epidemie. I mistici testimoniano spesse volte di questo carattere di crescità continua, o addirittura esponenziale, dell’esperienza interiore che mette in pericolo il piccolo ego. Cristo dice : « A quelli che hanno molto, si darà ancora di più, a quelli che hanno poco si ritirerà quel poco che hanno. »  In India si racconta questa storia : un cane entra in una stanza le cui pareti sono coperte di specchi. Vedendo una moltitudine di cani intorno a lui, mostra le zanne ; tutti i cani mostrano le zanne. Impaurito si mette ad abbaiare ; tutti i cani si mettono ad abbaiare. Alla fine, abbaia tanto e così forte che cade, morto stecchito. Alcuni giorni dopo, un saggio entra nella stanza degli specchi. Vede una moltitudine di saggi che gli sorridono. Ne risente una gioia estrema. Vedendo tutti i saggi intorno a lui manifestare la stessa gioia estrema, raggiunge la Realizzazione.

7) La forza del simbolo : attribuisco a questa espressione due significati del tutto distinti. Prima il simbolo della stabilità, della fermezza, dal doppio senso della parola hindi dharana che abbiamo vista precedentemente : concentrazione e base stabile, ‘sitting’ per protestare in maniera non violenta e manifestare il proprio disaccordo con la società. Quest’ultima ha tendenza a divorare tutto il nostro tempo. Ci sediamo dunque per dire che non siamo di umore a lasciarci fare.

Un altro significato molto diverso della ‘forza del simbolo’, è la concentrazione su un’immagine proveniente : o da una tradizione spirituale, o da noi stessi più precisamente da un sogno avuto. Parlare dettagliatamente della forza di questi simboli, sarebbe come passare in rassegna sia la scienza delle religioni che quella dei sogni, e non vogliamo azzardarci a farlo. Rimandiamo tuttavia il lettore al nostro capitolo sull’immaginario nel quale abbiamo abbordato certi punti importanti del simbolo.

8) La presa d’appoggio sul fondo : si tratta di un meccanismo conosciuto da coloro che sono assuefatti ad una sostanza. Gli inglesi lo chiamano : rock-bottom experience. Se un alcoolizzato, per esempio, si trova in uno stato d’ubriachezza molto grave, quando ne viene fuori e che prende coscienza del fatto che gli rimangono solo due soluzioni : o morire del suo alcoolismo, o smettere completamente di bere, forse sceglierà, nel migliore dei casi, la seconda soluzione. Allo stesso modo, quando un meditante già avanti nella pratica, ha il sentimento che dopo aver fatto di tutto per dominare la sua mente, ha completamente fallito, ciò può provocare in lui un’enorme collera contro il proprio mentale. E ciò gli dà un’energia nuova che gli permette di raggiungere un alto livello di realizzazione…nel migliore dei casi.

9) Intensificazione dei conflitti interiori : questo ha qualcosa da vedere con il meccanismo precedente. La psicologia popolare ha molto tendenza a dare un’inerpretazione semplicistica a tutti quei conflitti interiori qualificandoli di ‘nevrotici’. Certo, ci sono casi di questo tipo, ma ce ne sono altri che sono evolutivi poiché sono segno di un’emergenza o tensione spirituale per riprendere l’espressione dei Grof. E’ a questo tipo di conflitti interiori che si ricollegano la storia di Giobbe, la lotta di Arjuna nella Bhagavad-Gita, la guerra santa dei sufi, o la ricerca del senso della sofferenza da Frankl. Anche senza contemplare l’aspetto spirituale, la lotta viene spesso considerata come un gioco. E’ la base della maggior parte degli sport.

La ricerca d’immobilità del corpo e di purezza, o di arresto del mentale, mette automaticamente il meditante in conflitto con sé stesso. La sua parte automatica vuole venire all’esterno, la sua parte cosciente vuole tornare all’interno : tra questi due movimenti c’è attrito, sfregamento, se così si può dire, e un calore viene sprigionato (è il significato primario della parola  tapas utilizzata poi nel senso di ‘pratica intensiva’). Questo ‘calore’ in realtà, non è altro che la coscienza che appare per cercare una soluzione al conflitto interiore. Qualunque sia la via che si segue, anche se non si parla di Kundalini, viene un momento in cui l’intensità interiore si risveglia, e ciò non avviene senza conflitti. Però, se non ci fosse coscienza, se non venisse prodotto ‘calore’, come potrebbe nascere la fiamma mistica ?

Certo la rilassazione è importante per meditare in maniera intelligente. Però ciò non significa che la pratica debba diventare una pia sonnolenza, come lo si pensa qualche volta. La qualità ultima dell’aspirante spirituale nel Vedanta è moumouksoutva, il desiderio intenso di liberazione. Mâ Anandamayî diceva : « La vita in questo mondo è, senz’alcun dubbio, un campo di battaglia. Prendendo coscienza della propria ricchezza spirituale, uno deve lottare per uscire trionfante della mischia. » E ancora : « Il riposo si trova quando si sa non prendere alcun riposo. »

10) Omeopatia meditativa : nella meditazione, le difficoltà passate o future appaiono sullo schermo della coscienza in modo attenuato, omeopatico si potrebbe dire. A dose ridotta, possono indurre una guarigione, mentre sarebbero state distruttive a dosi elevate. Beato colui che sa maneggiare le sottigliezze dell’alchimia meditativa…

11) Meccanismi non specifici : ne vedo due principali : l’effetto di gruppo e il ‘transfert’. L’effetto di gruppo non si riduce al piccolo raduno di persone che si mettono a meditare nello stesso luogo allo stesso momento. Molti meditanti credono ad una forma o un’altra di telepatia, di comunione dei santi o di campo unificato, poco importa il nome che gli si dà. Hanno un sentimento profondo di appartenenza alla comunità dei ‘meditanti di buona volontà’ dispersi sul pianeta terra. D’altra parte, una tradizione rappresenta un gruppo scaglionato nel tempo, e in quel senso c’è un legame fra un effetto di gruppo positivo e il fatto di appartenere ad una tradizione. Diverse volte ho potuto verificare con i miei pazienti che parlando loro di metodi tradizionali di meditazione, piuttosto che di sistemi terapeutici, si produceva una specie di effetto magico. Non venivano più considerati come poveri individui marginali che si tentava di reintegrare a stento nel gregge, ma come esseri umani a tutti gli effetti, degni di riprendere l’antica lotta della coscienza contro l’ignoranza e della luce contro le tenebre.

Il ‘transfert’ sul maestro spirituale è un modo di azione fondamentale della meditazione. Ne ho parlato nel primo capitolo di questo libro e sopratutto nel mio primo libro Le Maître et le Thérapeute (Il Maestro e il Terapeuta)

12) Il meccanismo senza meccanismo : come l’ho già detto all’inizio di questa parte, non si può ridurre la meditazione a dei meccanismi. Porta, infatti, a vedere il mondo non come una grande macchina ma come un grande pensiero. Conoscersi, accettare sé stesso senza per questo cadere nella compiacenza verso l’ego, accettare la realtà tale com’è, tutto ciò forma una via spirituale. Vivekananda diceva : « Una vigilanza eterna, ecco qual’è il prezzo della libertà. » Questa vigilanza non è un meccanismo, è la coscienza stessa di colui che ha concepito la macchina…

La psicologia si preoccupa principalmente di identificare i traumi passati e di risolverli, però nella mia esperienza di meditante, il passato, il più delle volte, si risolve da sé, purché si riesca realmente a stare nell’istante presente, ad immergersi in un’ambiente meditativo non per qualche secondo naturalmente, ma a lungo termine. Una pianta che non viene annaffiata entra in una fase di deperimento ma muore realmente parecchio tempo dopo. Allo stesso modo c’è una latenza, un certo lasso di tempo tra il deperimento del passato e la sua ‘morte’ completa. Il che non vuol dire che siamo colpiti da amnesia, ma che il passato non ci condiziona più in modo nascosto. Ci possiamo ancora servire di lui, però lui non può più servirsi di noi. Questa capacità di distruggere i vasanas, i residui, delle impressioni passate, è paragonata classicamente in India al fatto di far cuocere alla griglia dei semi affinché non possano più germogliare, o di far bollire l’acqua per sterilizzarla.

Quando guardiamo l’insieme dell’evoluzione della vita e dello psichismo, si possono distinguere due leggi molto generali. L’apparizione della vita è legata da una parte allo sviluppo della forma, e dall’altra  il mentale è fortemente attratto da ciò che è nuovo e che indentifica alla vita stessa. Al contrario, l’attenzione concentrata porta, per la sua monotonia ad un’esperienza di ‘non-forma’. Lo scopo, in fin dei conti, è di addomesticare la morte sperimentandola a volontà e in piena coscienza. Si può così superare la dualità vita/morte e raggiungere una pace irremovibile poiché appartiene all’al di là dei contrari, ed è ancorata nella Vacuità.

Prima di contemplare la possibilità di applicazione della meditazione ai soggetti psicopatologici, vorrei ricordare una storia Zen conosciuta : un monaco, stanco del silenzio di suo maestro, viene a chiedergli di dargli un consiglio. Il maestro che osserva il silenzio, scrive qualcosa su un pezzo di carta e lo tende al discepolo. Quest’ultimo legge: « Attenzione. » Frustrato, rende il biglietto al maestro chiedendo delle precisioni. Il maestro scrive allora : « Attenzione, attenzione. » Alquanto irritato, il discepolo tende per la terza volta il pezzo di carta. Quando lo riprende, può leggere : « Attenzione, attenzione e attenzione significa attenzione. »

Può la meditazione aiutare

i soggetti patologici ?

            Per essere chiari, è meglio distinguere la meditazione nel senso comune del termine,  dalla sadhana, che rappresenta una meditazione sostenuta, intensa, con una vita quotidiana in armonia con l’ideale della meditazione. Per essere accettati da un maestro spirituale e prendere quella via, occorre un grande equilibrio nonché una grande capacità di padronanza di sé (i yama-niyama dello Yoga). A quel punto, il praticante si cura equilibrando le correnti di energia (prana). Secondo la medicina ayur-vedica, le malattie sia fisiche che psichiche vengono da squilibri tra i ‘prana’. Il praticante potrà anche fare la sua auto-analisi nel corso della sua meditazione. Il ruolo del maestro spirituale non è, come nel caso dello psicoterapeuta, di entrare nel dettaglio dell’ inconscio del discepolo ; può invece metterlo in situazione di rivelare delle tendenze negative latenti. Toccherà allora al discepolo analizzarle man mano. Malgrado tutti questi fattori favorevoli, il praticante può conoscere delle fasi difficili, sopratutto se il risveglio della Kundalini viene accelerato dall’assenza di attività sessuale. Le meditazioni di concentrazione praticate intensivamente possono far apparire delle debolezze latenti nel praticante. Invece le meditazioni di osservazione del mentale permettono un riequilibraggio della psiche.

            Dopo le precedenti considerazioni su questa referenza tradizionale, vediamo adesso le indicazioni della meditazione in psicoterapia. Di quale pratica si tratta ? Di una pratica non intensiva, con molteplici possibilità di comunicare con il terapeuta e di formulare a viva voce quello che era interiorizzato. La preghiera, la ripetizione del mantra possono aiutare a stabilizzare il mentale e a ritrovare una capacità minimale di concentrazione. Invece le meditazioni di osservazione non sono a priori consigliate, non avendo i pazienti la padronanza della mente necessaria per poter trarre profitto da quelle tecniche. Nell’insieme, le meditazioni molto vicine al corpo sembrano utili per riportare la coscienza alla base del mentale ed evitare forti divagazioni. Tuttavia queste meditazioni rischiano di accrescere certe tendenze ipocondriache.

            Ho parlato di questi argomenti con il dottor Schnetzler, ex-capo di servizio di psichiatria e praticante della via tibetana. Per lungo tempo ha organizzato gruppi di meditazione con dei pazienti suoi. L’indicazione della meditazione si faceva individualmente. Non c’era una corrispondenza sistematica tra un tipo di meditazione e una certa patologia. In realtà il vero problema non si pone tanto in termini di indicazioni o controindicazioni, ma risiede piuttosto nella motivazione del paziente e nella difficoltà di trovare un psicoterapeuta che abbia una buona esperienza personale della meditazione.

Riflessioni…pensieri…

L’essere distratto è nella luna, l’essere attento è nel sole.

All’inizio, meditare vuol dire fermarsi per prendere il tempo di soffiare. Poi è lasciare al soffio il tempo di fermarsi.

Quando scaturisce un lampo d’immobilità, quello che è stato rivelato lo resterà per sempre. Un punto di concentrazione è un lucernario che dà sull’infinito.

Lo scopo è la non-dualità : il metodo è una dualità alla quale si torna di continuo, tra l’osservatore e l’osservato.

Non è una cosa straordinaria che qualcosa di straordinariamente semplice – osservare il soffio – sia straordinariamente difficile ?

Meditare non è soltanto sostituire le divagazioni esterne del mentale con le medesime all’interno : passare dalla stravaganza all’ ‘intravaganza’. Meditare è posarsi all’interno, è lasciare l’ucello dell’anima annidarsi sotto il tetto del cuore.

Il ragno e il mentale hanno qualcosa in comune : ovunque si trovino, si mettono a tessere la loro tela.

Ma il ragno è superiore al mentale : non si aggroviglia né si fa intrappolare dalla propria creazione.

Per via della semplice forza di gravità, una stella può crollare su sé stessa e trasformarsi in un buco nero : diventerà invisibile, ma la sua forza d’attrazione sarà considerevole. Con la forza della semplice concentrazione, l’ego del praticante può crollare su sé stesso e provocare un samadhi : diventerà invisibile, però la forza d’attrazione del potere del saggio nascosto che ha sperimentato l’ ‘instasi’ sarà considerevole.

Per molte menti moderne, la compulsione di complicazione ha sostituito la capacità di concentrazione. Non potendo focalizzare la loro mente su una nozione chiara e semplice, la lasciano vagabondare di lettura in lettura, d’idea in idea, andando di complicazione in complicazione attraverso complicazioni senza fine.

I comportamentalisti descrivono tanti tipi di condizionamenti, operanti, avversivi, eccetera, che vengono tutti dall’esterno. Però il condizionamento della concentrazione, lui, viene dall’interno. Se gli dovessi dare un nome lo chiamerei ‘condizionamento intelligente’.

Crediamo che i rumori esterni turbano la nostra concentrazione, però se ci osserviamo attentamente, ci accorgiamo che turbano in realtà le nostre distrazioni ed è forse per questo che ci danno tanto fastidio.

Se con soffio-prana, cioè ‘soffio vitale’, s’intende ‘circolazione dell’energia’, si può far coesistere un ‘ arresto del soffio’, con una respirazione libera.

Il mio vero ‘da me’ è l’attenzione ; attenzione che, paradossalmente, dissolve il ‘me’, dunque anche il ‘da me’…

Quando si è fatto l’ultimo passo per valicare la porta del vuoto, all’improvviso la porta non c’è più. Quando uno si concentra completamente su un punto, all’improvviso, non c’è più punto.

Il discernamento meditativo tra quello che è reale e quello che non lo è, è un processo così continuo come la separazione delle acque del mare generata da una nave.

E’ senz’altro più facile imparare a camminare per qualche metro su una fune, che riuscir a seguire in modo continuo il filo del soffio. Spesso, in meditazione, siamo più sonnambuli che funambuli.

Si dice familiarmente che il mentale è come una ‘bici’ nella testa, ed è vero : la prova migliore è che se lo fermiamo veramente, anche pochi istanti,  si accascia su sé stesso.

Allo stesso modo che le regole della cortesia sono un aiuto per chi non riesce ad avere l’attitudine giusta, i metodi di meditazione sono un sostegno per coloro che non riescono a percepire l’attenzione giusta.

La disidentificazione dell’osservatore relativamente al mentale osservato, non significa che ci sia inimicizia tra i due, o rigetto. Si tratta piuttosto di una relazione d’amore, una relazione di separazione-unità tra una madre e il figlio che lei tenta di educare.

Il meditante raggiunge uno stadio in cui percepisce un non-so-che, che potrebbe essere vacuità del soffio, oppure soffio della vacuità.

Ci sono momenti di grazia in cui ogni ispirazione è un’aspirazione, e ogni espirazione (expir) è come un ultimo sospiro.

L’attenzione è un filo alquanto fragile : sarai, tu che l’hai già spezzato mille e mille volte, sul punto di ricominciare ?

Sotto un vero sospiro, spesse volte, sento il ricordo dell’Essere.

La religione interiore è una religione antica, se mai : è poggiata su un culto del fuoco, il fuoco della vigilanza.